Avvicinandosi dal mare alla costa si percepisce già che quella che si sta per visitare è un’isola in senso molto più largo del significato puramente geografico. È subito chiaro infatti che è isola come distanza dal rumore e dalla frenesia del mondo, è isola come conservazione di antiche culture, isola come riserva di natura, come giardino dello spirito. Basta uno sguardo e si comprende velocemente che Ischia è assai antica. I segni del suo passato in una celebre coppa dal breve epigramma simposiale, che cita Omero rivelando l’alto grado di civiltà di Pithekoussai, l’Ischia greca; in una chiesetta quattrocentesca di bianca compattezza, a picco sul mare, dove piccoli bastimenti e stampelle d’argento, ex voto di marinai e di emigranti, spiegano meglio di qualsiasi parola perché fu chiamata “Soccorso”; in quel castello, enorme tartufo di lava, separato dalla terra, inespugnata fortezza aragonese, animata da signori della guerra, vedove poetesse, monache e cortigiane, martiri della libertà in catene. Ancora uno sguardo ed è lampante: l’isola è giovane e dovunque la natura fermenta; dappertutto uno zampillare di fonti e sorgenti termali e vapori del sottosuolo: sulle spiagge, nel mare, tra i boschi, persino per le strade del centro. Un terzo sguardo non serve. Sarà l’olfatto a scoprire ancora il lento e inesorabile lavorio della natura in un angolo di campagna tra un cespuglio di lavanda o di mirto, sotto un carrubo o un melo in fiore. Mentre bisogna puntare gli occhi ben in alto per scrutare la grande montagna al centro dell’isola. Monte forte nel 700, san Nicola in altre epoche, Tifeo addormentato per gli amanti della mitologia, l’Epomeo dà l’esatta misura della potenza della natura ma anche della sua leggerezza: raggiungendo tra silenziosi sentieri altitudini, non solo fisiche, insperate. Altezze montane. Abissi subacquei. Non bastano poi i soli occhi, serve almeno una maschera, per visitare le profondità dell’isola, sotto il mare, per scoprire i suoi scintillanti abitanti: lente fortezze volanti di squame e di pinne, bagliori sfuggenti tra capelli di posidonia oceanica, tra colate di lava sommersa, alghe e conchiglie. E occorre nuovamente riemergere, ma di poco, per lambire la costa anche questa nella stretta di storia e mito. Ma cosa importa sapere con certezza se nella grotta del mago davvero si celebrarono i culti solari o in quell’altra grotta, nel mare di Lacco ameno, trovò rifugio Mario che scappava all’ira di Silla? Che esperti di archeologia si accapiglino pure. Resta il fascino ed il sospetto che in questi luoghi, dove il tempo sospende il suo scorrere, sia potuto accadere ben altro.